ami salva-squali in futuro?

Trovata forse la soluzione per evitare che gli squali finiscano nei palangari dedicati a tonni e pescispada? Forse, anche se ci vorrà ancora tempo e lunghe sperimentazioni. Ma il risultato è promettente e importante, perché il by-catch, la cattura accidentale in attrezzi di pesca dedicati ad altre specie, è la principale ragione di mortalità degli squali in tutto il mondo e soprattutto in Mediterraneo (guarda il video). I numeri sono impressionanti: si stima infatti che dagli 11 ai 13 milioni di squali finiscano accidentalmente nelle reti, in numero spesso superiore a quello delle specie per cui si è dispiegato l’attrezzo di pesca. Anche per i pescatori il by-catch è un problema, visto che riduce l’efficacia dei loro attrezzi di pesca.

Ma cos’hanno scoperto i ricercatori americani del NOAA? Che gli squali plumbei [scheda su questo squalo, studiato da MedSharks in Mediterraneo] evitano alcune leghe di metallo, che reagiscono con l’acqua salata producendo un campo elettrico che li disturba (qui il comunicato stampa del NOAA). La presenza del “palladium neodymium” [non chiedetemi di tradurvelo perché non ne ho idea – c’è qualche chimico fra noi che possa aiutarci?] altera chiaramento il nuoto degli squali e ne inibisce temporaneamente l’alimentazione. Il campo elettrico generato dal metallo a contatto con l’acqua salata è infatti probabilmente così intenso da disturbare i delicati e sensibilissimi sensi dello squalo.

I singoli individui di squalo plumbeo non si avvicinavano mai a meno di mezzo metro dal blocco di metallo, né si cibavano delle esche che vi erano appese a una ventina di centimetri di distanza” ha spiegato Richard Brill, ricercatore del NOAA e responsabile del Cooperative Marine Education and Research (CMER) Program al Virginia Institute of Marine Science. “Lo studio dimostra chiaramente che questa lega può agire come repellente per gli squali nei palangari pelagici. E’ un primo passo molto promettente, anche se ora bisogna studiare le dimensioni ottimali e la forma da dargli e, soprattutto, testarlo in mare aperto e non solo in laboratorio“.

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